Atlantis: Il Capolavoro Perduto
Era l’oramai remoto 2001 e, nelle sale cinematografiche, usciva Atlantis – L’Impero Perduto, pellicola d’animazione prodotta da Walt Disney in cui temi quali Fantascienza, Criptoarcheologia e una buona dose di Esoterismo si armonizzano in un’opera davvero peculiare, la quale, a distanza di più di vent’anni, risulta ancora essere un Unicum nel suo genere.
Marchi di fabbrica classici dei prodotti di Disney, come le canzoni o lo stile di disegno curvilineo e armonico, lasciano il posto a una colonna sonora d’accompagnamento epica e solenne, unita a immagini spigolose che parrebbero di gran lunga più affini agli universi fumettistici ideati da autori del calibro di Mike Mignola che a una pellicola della suddetta Casa di Produzione.
Riferimenti a pensatori del passato come Platone, principale fonte da cui apprendiamo della storia del continente perduto, di esoteristi come Rudolf Steiner, di pari passo con la maniacale attenzione nella ricostruzione della lingua degli Atlantidei, affidata al linguista Marc Okrand, il quale creò una sorta di lingua primigenia, comprensiva di elementi ascrivibili a diversi idiomi del Mondo, contribuiscono a spiazzare lo spettatore e trasportarlo in un mondo altro, tuttavia umano e dunque credibile.
Il popolo degli atlantidei è infatti alla base di ogni civiltà umana postdiluviana e le sue caratteristiche, fra cui di certo spicca il notevole ricorso all’uso del colore blu, si rifanno alle rappresentazione di diverse divinità antiche. Inoltre pare evidente come gli autori si siano anche ispirati ai monili precolombiani, che, secondo alcuni, rappresenterebbero antiche macchine volanti zoomorfe, per dare “profondità storica” e “credibilità” alle avanzate tecnologie della Civiltà Perduta. Perduta non solo in virtù del cataclisma che l’ha quasi cancellata, ma anche a causa della volontaria scelta di dimenticare ciò che era davvero stata nel Passato.
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Custode di un segreto potente e divino che fece svanire il suo regno dalla Storia, il re Kashekim, il cui nome presenta una certa assonanza con quello di Utnapishitim, il celeberrimo Noé babilonese, regna ora su una città tornata all’essere in potenza, la quale potrà aprirsi all’atto e rinascere solo facendo sì che il Passato risorga dagli abissi, opera questa che solo il più improbabile degli eroi potrà portare a termine.
Tanto moriremo tutti”, W. B. Packard, Atlantis: L’Impero Perduto, 2001.
Egli salverà Atlantide, ma anche sé stesso, trovando finalmente il proprio posto nel Mondo e il riconoscimento che egli aveva così tanto a lungo cercato.
E alla fine l’Amicizia e la Vita trionferanno sull’avidità e la prepotenza, pur lasciandoci con un po’ d’amaro in bocca.
In breve, con i suoi personaggi e la sua storia avvincente, una pellicola della portata di Atlantis – L’Impero Perduto riesce laddove oggi quasi nessun’opera riesce più, cioè nel creare un universo cui lo spettatore è naturalmente portato ad affezionarsi.
E in un tempo in cui la piaga del Politicamente Corretto imperversa e Distrugge con sempre più prepotenza, sarebbe davvero opportuno recuperarla e studiarla.