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Da Caporetto a Vittorio Veneto, la Quarta Guerra d’Indipendenza

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È il 24 ottobre 1917. In base ad un piano chirurgico e ben studiato da tempo, tedeschi ed austriaci mettono in esecuzione un’operazione militare in vasta scala, che punta a far dilagare le proprie truppe nella pianura del Veneto. Si rompono le difese sull’Isonzo e il nemico marcia su Cividale. Può collassare l’intero fronte e si teme per Venezia stessa. Persino la difesa del Tagliamento viene abbandonata e per l’Esercito Italiano rimane un’ultima possibilità di arginare l’invasione: tenere la linea del Piave. Tutto sentono che se salta quest’ultima linea, l’Italia cessa di esistere.

Marcia nella valle dell'Isonzo
Marcia nella valle dell’Isonzo

È la disperazione ma a quel punto sono proprio le condizioni disperate a rendere miracolosamente vicini calabresi, emiliani, siciliani, piemontesi, lombardi e pugliesi. Sarà forse l’unico momento nella Storia d’Italia in cui le tanto oggi vituperate parole di Unità e Nazione, acquisteranno finalmente un senso. Senza retorica. Senza infingimenti. Caporetto fu la presa di coscienza che la guerra, inizialmente ostile a una massa chiamata alle armi repentinamente e confusamente, era divenuta una vera e propria lotta per la libertà della Patria intesa come un’autentica difesa delle famiglie e dei beni di tutti. L’esame di questo avvenimento storico mette in luce come dal panico si possa generare un fortissimo quanto inaspettato senso di appartenenza. Nell’ottobre – novembre 1917 si assistette a una colossale mobilitazione civile a sostegno delle forze armate. Il fenomeno dei rifugiati e dell’accoglienza in plaghe d’Italia dove conviveranno comunità di meridionali e settentrionali si concretizzerà, forse per la prima volta, in una diffusa idea di nazione dopo secoli di lotte e di divisioni.


Il 12 aprile 1847, il Cancelliere di Stato dell’Impero asburgico, il Principe di Metternich, scriveva ad un diplomatico ungherese che la parola Italia non era che un’espressione geografica. Al Cancelliere austriaco sfuggiva però quello che avrebbe colto Giosuè Carducci nel 1874 davanti alla tomba del Petrarca, quando affermò che la Nostra Nazione è un’espressione letteraria e una tradizione poetica dove era stata per la prima volta nel mondo una lingua a fare un Popolo.

Lo Stato Italiano nato con il nome di Regno d’Italia fu indubbiamente uno Stato con tali e tante contraddizioni, disparità e ingiustizie da segnarlo inesorabilmente per gli anni a venire, ma è innegabile che il travagliato percorso rappresentato dalla sanguinosa Prima Guerra Mondiale, abbia in parte armonizzato i tanti elementi storici sino a quel momento in fortissimo contrasto.

È il mio cuore il paese più straziato”, G. Ungaretti, San Martino del Carso, 1916.

Personaggi come il generale Luigi Cadorna, che alternò fermezza tattica a cinica e spregiudicata utilizzazione dei fanti italiani, pretendendo sacrifici insostenibili e spesso inutili, o il generale Armando Diaz, che riuscì ad umanizzare il rapporto con i soldati, rappresentarono l’intero arco di questa guerra.

Oggi il Sacrario di Redipuglia, che accoglie centomila dei seicentottantamila caduti italiani sull’intero fronte, testimonia la terribile strage, mentre la sacralità del Milite Ignoto, scelto da Maria Bergamas, la madre di un caduto disperso, rappresentò il tentativo di metabolizzare la tragedia riassumendola in un soldato solo, figlio, padre e marito di tutti gli italiani ed italiane.

Caporetto e Vittorio Veneto sono ormai lontani, ma ci ricordano che la risposta di una comunità a un evento collettivo ci può appartenere ancora oggi.

Volenti o nolenti.